Estrema Ratio
- La Redazione
- 4 giu 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 14 giu
Testo e fodi di Cristoan Magnani

Estate, caldo, acqua bassa, trasparente e praticamente ferma, uno scenario familiare a chi frequenta i piccoli corsi d'acqua.
Arriviamo sul fiume e scorgiamo diversi grossi cavedani nuotare tranquilli, nell'acqua limpida. Gasatissimi, pregustando già una bella pescata, lanciamo in acqua una piccola manciata di bigattini. Purtroppo ci accorgiamo immediatamente che i pesci non si mostrano particolarmente interessati: non si precipitano a ghermire le larve e non vanno in competizione alimentare tra di loro. Proviamo a pescarli a vista, con finali sottilissimi e ami microscopici ma la nostra esca, le rare volte che riesce ad attirare l'attenzione di uno di quei grossi pesci, viene quasi immancabilmente rifiutata.
Altro scenario: i cavedani sono in attività e si mostrano ben disposti verso le nostre esche. Purtroppo i piccoli pesci sono velocissimi a precipitarsi su tutto ciò che buttiamo in acqua, compreso il bigattino appuntato al nostro amo, che viene regolarmente sbocconcellato prima di arrivare davanti al muso di un cavedano di taglia interessante.

Sono certo che quanto appena descritto sia capitato a tutti noi.... l'estate, complice il calo dei livelli e l'esplosione del pesciolame, a volte ci presenta il conto, sotto forma di giornate nelle quali il pesce si mostra abulico e poco disposto ad abboccare. Oppure avviene che sia impossibile pescare con il bigattino per la grande quantità di alborelle presenti.
Se nel primo caso possiamo risolvere la situazione spostandoci in uno spot nel quale l'acqua corre e nel secondo possiamo evitare il pesce piccolo innescando esche voluminose, come il mais, il verme o la frutta di stagione, è altrettanto vero che non sempre abbiamo a disposizione esche alternative o spot favorevoli a tiro di canna.
Allora ci viene in aiuto un tipo di pesca che imparai la prima volta che pescai sulla Sieve, un Luglio di tanti anni fa. Una giornata il cui ricordo rimarrà indelebilmente impresso nella mia memoria, nonostante il tanto tempo passato.
Come d'abitudine arrivammo sul fiume che il cielo appena accennava a schiarire e trovammo libero lo spot che il mio socio Andrea detto “Bordo” aveva scelto, uno dei più famosi e “gettonati” del fiume mugellese.
Ci preparammo e scendemmo sul greto del fiume, che ci apparve subito chiarissimo, anche nell'incerta luce dell'alba. Preparammo lenze molto leggere, adatte alla leggerissima corrente presente e poi entrammo in acqua, per pescare verso la sponda opposta dove il fiume aveva scavato una buca sotto il costone di roccia.

Oltre metà del fiume, dove l'acqua era più bassa, era coperta da un fitto tappeto di piante acquatiche. Superate le erbe, la Sieve scorreva limpidissima e ben presto, richiamati dalle larve gettate per richiamo, iniziai a vedere le lunghe sagome scure dei cavedani salire dal fondo del fiume.
Passò qualche tempo prima che riuscissi a prendere le misure a quei pesci fetenti finchè poi, calando drasticamente il diametro del finale, cominciai a allamare qualcuno di quei grossi cavedani. Ma non ne portai a guadino nemmeno uno: dopo averli stancati con mille accortezze, una volta portati nell'acqua bassa si infilavano immancabilmente nelle erbe acquatiche e il finale saltava in un attimo.
Dopo alcune ore di questo ritornello, decisi di dargliela vinta e di raggiungere il mio compagno di pesca, che già da tempo aveva ceduto alla sua natura di pescatore itinerante.
Raccolsi le mie cose e mi incamminai verso valle: il fiume, dopo un lungo raschio di acqua bassa, si apriva in una splendida e grande buca, già occupata dall'amico e da altri due o tre pescatori.
L'acqua era limpidissima, così come non mi è mai più capitato di vedere e permetteva di scorgere un numero spropositato di grossi cavedani incrociare tranquilli sicchè le mani cominciaro a fremere per la voglia di pescare.
Prendere quei pesci però era tutt'altro che facile... tra tutti i presenti, l'unico ad aver allamato un pesce era Bordo, che stava pescando a vista, appoggiando tutto il finale sulla sabbia sotto la punta della canna e attendendo che alcuni di quei pesci plurilaureati arrivassero a piluccare sdegnati qualche larva. Provai a pescare staccato dal fondo ma pensare di prenderli a mezz'acqua era pura utopia.
Poi avvenne qualcosa che cambiò il corso della giornata e che mi diede una lezioni di pesca che non ho più dimenticato: i cavedani cominciarno a bollare fragorosamente in superficie e mi accorsi che quello che stavano mangiando a galla erano i caster galleggianti presenti tra i bigattini che fiondavo.

A causa del caldo i miei caster erano rapidamente diventati galleggianti e i cavedani, che rifiutavano sdegnati quelli affondanti, mangiavano avidamente quelli che la corrente portava in superficie.
Allora preparai una lenza con un lungo finale libero, raggruppai tutti i piombi sotto la deriva del galleggiante e provai a mischiare l'esca appuntata sul mio amo a quelle sparse sul pelo dell'acqua. Dopo un paio di lanci ebbi un'abboccata netta e tempo alcuni minuti, un grosso cavedano dalle squame dorate entro nella rete del mio guadino. Fu l'unico pesce che riusci a prendere quel giorno, ma il fiume mi aveva insegnato qualcosa che valeva più di un bel pesce.
Non applicai subito sistematicamente la lezione imparata sulla Sieve, a differenza del mio amico che non manca mai di portare con se un sacchetto di caster. Poi, nel corso degli anni anche io ho imparato a sfruttare questo asso nella manica, capace di raddrizzare le giornate più negative oppure di farci prendere pesci nelle ultime ore della nostra uscita, quando i pinnuti sembrano aver capito il giochino e perso interesse per le nostre esche.

Ho poi imparato, grazie al mio amico Maurizio, che questa può essere anche una tecnica estremamente redditizia e non solo una soluzione di ripiego, soprattutto nei fiumi dove i cavedani, per competizione con i loro consimili o con altre specie, sono portati a ghermire i bigattini solo negli strati d'acqua più superficiali.
Ed ora veniamo a descrivere in dettaglio questo particolare tipo di pesca.
In primis l'esca: il caster, come tutti sanno, è la crisalide della larva di mosca carnaria, la fase nella quale la larva muta prima della nascita dell'insetto vero e proprio. In questo stadio il bozzolo cambia di colore e dal bianco vira ad un marrone via via più scuro, per poi diventare praticamente nero nella fase finale quando la crisalide diviene leggera e galleggiante. Mentre il caster affondate viene largamente utilizzato sia come esca che come pastura, quello galleggiante viene adoperato molto poco e perlopiù in pastura, quando abbiamo davanti a noi un fondale ricoperto di alghe e vogliamo che le nostre esche risalgano dal tappeto erboso ed attirino i pesci.

A noi interessano proprio questi caster più scuri, quelli che normalmente vengono gettati quando i nostri “bachi morti”, come vengono chiamati in toscana, sono dai più ritenuti inservibili.
Ottenerli è molto semplice e non presenta nessuna delle difficoltà connesse alla conservazione del caster galleggiante che ha un vita molto breve e, se non tenuto in acqua o in sacchetti ermeticamente chiusi, si trasformano ben presto in galleggianti. A noi dunque, basta lasciare che la natura faccia il suo corso. Una volta che i caster sono diventati scuri, possiamo anche congelarli per averli disponibili al bisogno.
Come ho già detto, questa esca trova la massima applicazione durante il periodo estivo, quando i pesci sono portati a cibarsi a galla e, sprattutto, la corrente dei fiumi è al minimo. E fondamentale usare questa esca in spot ed in periodi nei quali l'acqua sia molto lenta se non fema, poiché altrimenti rischiamo di portare i pesci fuori portata. Infatti se la corrente dovesse portare a valle i caster, ci troveremmo in breve con i pesci troppo lontani. Il caster galleggiante è estrememente leggero ed è incredibile quanta strada faccia anche se mosso da una leggera corrente. Attenzione quindi ... luogo ideale per utilizzare questa esca sono le grandi e lente piane, mentre è da evitare nelle veloci correntine, dove rischiamo di portare il pesce a distanze irraggiungibili.
Una volta sul fiume, nello spot adatto e con le esche “giuste” dobbiamo realizzare la lenza e per farlo dobbiamo ricorrere ad un galleggiante particolare, che può essere acquistato ma può anche essere facilmente autocostruito. Il galleggiante in questione assomiglia ad un piccolissimo waggler e viene realizzato sostituendo la deriva con un piccolo occhiello che ci permetterà di montarlo sulla lenza come se fosse un galleggiante all'inglese, bloccato sopra e sotto da alcuni pallini di piombo, in numero e misura tale da tarare il galleggiante in modo approssimativo e di permette il lancio della lenza. Essendo una pesca che non si effettua a grande distanza è più che sufficiente utilizzare piccoli galleggianti di portata inferiore a mezzo grammo, il peso sufficiente a stendere la lenza alla distanza voluta, affidando poi alla leggera corrente il compito di stendere la nostra semplicissima lenza.
Sotto al galleggiante la l'armatura sarà totalmente libera, priva di piombo e terminerà con l'amo. La distanza tra l'amo e il galleggiante non deve mai essere superiore al metro, altrimenti rischiamo di non accorgerci prontamente dell'abboccata. Solo in caso di pesci particolarmente scaltri e maldisposti, possiamo distanziare maggiormente il galleggiante dall'amo ma dobbiamo poi avere l'accortezza di distendere bene la nostra lenza, in maniera tale che il galleggiante segnali immediatamente quando il nostro caster viene attaccato.
In ogni caso, qualunque sia la misura del nostro “terminale”, è sempre necessario imprimere al galleggiante dei piccoli stop, così da permettere alla lenza di stendersi sulla superficie.

Fondamentale è anche muovere la nostra insidia, così da capire dove sia l'esca per essere pronti a ferrare quando il pesce bollerà in quel punto, un attimo prima che il galleggiante si inabissi di scatto.
Il caster può essere innescato singolo, doppio o a grappolo, innesco quest'ultimo che può essere realizzato incollando alcuni caster con l'aiuto di qualche goccia di colla cianoacrilica. Starà a noi provare i vari inneschi per capire a quale, di volta in volta, i pesci si dimostrino più sensibili. L'amo potrà essere di misura superiore rispetto a quello utlizzato per il bigattino, poiché il caster sei presta ad inglobare e nascondere l'uncino, ma dovrà sempre essere molto leggero, per non gravare l'innesco e rendere la presentazione innaturale
La pasturazione è semplicissima, basterà infatti gettare in acqua, a mano o con l'aiuto della fionda, piccole quantità di caster. E' fondamentale non esagerare con la quatità e partire “con il freno a mano tirato” così da capire se la corrente porti le esche troppo lontano, fuori dal nostro raggio d'azione. Per contro, sapremo sempre dove stanno andando i nostri bachi e vedremo immediatamente se c'è attività ed i pesci li stanno gradendo.

Se i pesci sono vicini, possiamo schiacciare i caster con la mano e poi getteremo in acqua la poltiglia, che i cavedani gradiscono particolarmente... ci credereste? Quei pescioni che schivavano sdegnati il nostro bigattino, salgono a galla con la pinna dorsale e la bocca fuori dall'acqua per bollare sui nostri caster. Non vi resta che provare!