In pane veritas
- La Redazione
- 11 giu 2024
- Tempo di lettura: 11 min
Aggiornamento: 14 giu
Testo e foto Massimo Zelli

Io appartengo alla schiera di quelli che vorrebbero in Po le savette, i cavedani e i pighi di una volta, ma so che stiamo parlando di un’utopia e quindi in Po ci vado a prendere dei gran barbi che, inutile nascondersi dietro a un dito, mangiano, tirano e ti fanno divertire come pochi. Le specie della vecchia generazione vado a pescarle dove le popolazioni di questi pesci, vuoi perchè madre natura ci mette lo zampino, vuoi perchè qualche volenteroso gli dà una mano, ci sono e stanno tornando agli antichi fasti. La pesca di pighi, cavedani e savette a pane, è qualcosa che cela, sotto un’economia ed una semplicità disarmante, l’essenza della pesca a passata: saper mandare la lenza.
Si tratta infatti di una tecnica dove la pasturazione e l’esca sono quasi la stessa cosa e dove, per vedere mangiate con una certa frequenza, è molto importante l’equilibrio dinamico sottile che si instaura: tra il lento sfaldarsi della palla di pane ed il passaggio dell’esca lieve e preciso sulla sua scia. Mai come in altri casi è richiesta precisione e ragionamento a fronte di lenze molto semplificate.
Un po’ di chiarezza
Mi sono confrontato con diversi pescatori sulla pesca a pane. Mediamente, tutti convengono che, costruendo la nostra pasturazione usando soltanto pane grattato e come esca un fiocco di pane, si ottiene come effetto di passare attraverso la scia di pastura con un boccone di dimensioni notevolmente più individuabili rispetto al pane usato come richiamo. Personalmente credo che questa sia una variante della pesca a pane, intesa in senso classico, che può avere una certa valenza laddove il pesce, vuoi per scarsità , vuoi perchè molto pescato, tende a cibarsi di tutto con un certo sospetto, quindi anche del pane. In particolare, vado a memoria, questa tecnica è abbastanza diffusa tra i pescatori, non agonisti, del Mincio a Peschiera: in quel caso è vero, se l’unico boccono “utile” sulla pastura, è quello sul nostro amo, il pesce non avrà altre chance che mangiare quello.

Nella bibliografia che ho a disposizione sull’argomento ho rinvenuto diversi autori i quali parlano di pane grattato che, bagnato in maniera appropriata affinchè abbia la consistenza giusta, va sistemato direttamente sull’amo formando una pallina, magari con l’aiuto di una molletta di ritenuta. Non si tratta di pesca a pane ma di pesca con un pastarello al gusto di pane. Ecco, questa è una cosa completamente diversa dalla pesca a pane classica.
Finisco parlando di “bait punch” la carrellata di quello che NON è pesca a pane intesa in modo classico. Un “bait punch”, per gli amici una fustella, usato per tagliare del pane in cassetta è un espediente di natura anglosassone che lascerei confinato a tecniche anglosassoni.
Per la natura stessa della tecnica quello che va appeso all’amo è un pezzo di mollica nello stato il più possibile naturale: non va schiacciata, tagliarla regolarmente è controproducente e deve essere di pane senza conservanti, quindi NON pane per toast e/o tramezzini. La mollica, strappata naturalmente da un pezzo di pane da tavola, quando viene appesa sull’amo nel modo corretto si espande appena tocca l’acqua trasformandosi in un oggetto leggero e di dimensioni doppie molto soffice nella sua consistenza. Il pane da tramezzini è ricco di strutto, non fa questo effetto, non si espande. E’ altresì da escludere il pane da toast: questo è un po’ meglio poichè diventa morbido ma non si espande ed è inoltre pieno di conservanti. Ergo, il bait punch, potete usarlo quando pescate a ledgering con “pastarelli” innescabili ed in una miriade di altre occasioni ma per pescare a pane in bolognese, fatene tranquillamente a meno.
Se la vostra preoccupazione risiede nella tenuta del boccone dovete fare una importante considerazione: l’innesco perfetto deve essere estremamente molle per poter essere molto efficaci nella ferrata al minimo cenno. Questo aspetto è basilare su pighi e savette, lo è meno sul cavedano.
Un innesco perfetto, fatto a regola d’arte deve potersi staccare quando recuperiamo la lenza a fine passata con una falsa ferrata: questo ci da l’indicazione di una consistenza ideale. Esso va rifatto ad ogni giro. Come è evidente da quanto scritto la consistenza dell’innesco cambia a contatto con l’acqua ma , finchè questo è secco, possiede requisiti di tenuta sufficienti anche per lanci molto violenti e molto lunghi.

Sandro Garanzini, ossia quella che per me è l’autorità indiscussa quando si parla di pesca a pane rammenta sempre, anche se con nostalgia, i tempi in cui a Pavia sul Ticino usavano delle 8 metri per scagliare lenze dell’ordine dei 10 grammi a centro fiume. Come spesso mi dice, qualche canna ogni tanto la facevano i quattro pezzi, questo giusto per dare un idea di quanto possa essere violento un lancio con un pezzetto di pane che pende da un 120H del numero 18.
Preparazione del pane da pastura
Prima di spiegare la tecnica dobbiamo fare un doveroso passaggio sulla preparazione del pane da usare in pastura: è sulla base di questo che si sviluppa l’intero stile di pesca che, ci tengo a ribadire, seppur con le naturali contaminazioni possibili, possiede una sua particolare e definita identità. Si usa del pane vecchio come ossatura della mescola che va unito a del pan grattato in proporzioni variabili: tenendo conto di percentuali in peso la regola è avere 50:50. Questo produce un composto con il necessario grado di collosità per adattarsi ad acque medie e veloci. Si può arrivare a 60:40 se si vuole ottenere un composto molto legante dove 60 è il pane vecchio o viceversa , 40:60, se si vuole una mescola più facile da slegare. Il pane vecchio va messo a mollo in un secchio per una quindicina di minuti: di solito è la prima cosa da fare quando si arriva sul posto di pesca, in questo modo avremo tempo per preparci. Il pane deve essere bagnato al 100% per poterlo lavorare al meglio. Prima di cominciare ogni altra operazione bisogna saggiare la consistenza e controllare che tutto sia morbido senza residui di pane duro. Nel caso trovaste del pane ancora secco in alcuni punti, è sufficiente rompere i pezzi tra le mani e favorirne la bagnatura. La fase successiva è strizzare il pane usando un setaccio o un panno: il panno è molto efficacie ma lento ad operare, il setaccio necessità maggiore consapevolezza nell’uso ma evita perdite di tempo. Faccio questa precisazione perchè far perdere la maggior parte dell’acqua con il panno è relativamente semplice: basta chiuderlo “a mo di caramella” intorno al pane e strizzare finche non esce più acqua. Farlo con un settaccio presuppone di versare il pane, precedentemente affogato, direttamente su questo per togliere il grosso dell’acqua. In seguito bisogna comprimere l’impasto, già parzialmente scolato, sulla maglia in modo da asciugarlo bene: facendo questo dovreste evitare di estrudere il pane attraverso il setaccio stesso ...

Vi accorgerete che il pane è perfettamente pronto quando pur non perdendo più acqua avrà consistenza di un “babbà” un po’ troppo bagnato. Quando dal pane non uscirà più acqua dovrete procedere a spezzettarlo lavorandolo con le mani: dovete stringerne delle belle brancate e lasciare che questo esca tra le dita delle mani.
Dopo che il pane è stato strizzato e spezzettato è pronto per essere mescolato con il pangrattato: l’umidità residua deve essere sufficiente a bagnare il tutto e formare un composto gommoso e abbastanza solido. Mischiando i due ingredienti dovete lavorare l’amalgama, ancora una volta come in precendenza, facendola uscire tra le dita dei pugni. Questo permetterà ai pezzi più grossi che hanno resistito alla strizzatura di rompersi e far raggiungere al tutto la consistenza che gli permetterà di lavorare in maniera appropriata. L’operazione può essere fatta con il trapano ma anche in questo caso occorre grande esperienza e consapevolezza: frullando ad alta velocità correte il rischio di emulsionare con l’amido presente i due ingredienti. Se questo accade la collosità della mescola diventa molto più alta di quello che noi desideriamo portando la pastura a lavorare male ed in tempi lunghissimi. Fate attenzione a questo aspetto poichè l’errore non è reversibile se non correggendo con ampie dosi di pan grattato: sarebbe tuttavia una soluzione posticcia e non pari ad un lavoro ben eseguito al primo colpo. E’ un po’ come quando sbagliate l’incollaggio del bigattino a causa di troppa acqua: tutto si recupera ma poi ti trovi qualcosa che non somiglia lontanamente a quello che volevi.

Arrivati a questo punto, avrete un massa di pane che potete comodomente comprimere e lavorare fino a trasformarla in un unico pallone del peso di un paio di Kg. Questa va conservata all’interno di un panno umido e tirata fuori soltanto al momento di doverla utilizzare.
Come è evidente dalla preparazione si tratta di un composto molto diverso da uno sfarinato normale da pesca: il pangrattato ha lo scopo di uniformare la miscela e renderne la consistenza il più possibile omogenea in tutto il suo volume. Il pane vecchio bagnato si sfilaccia e forma piccoli bocconi al di sotto dei 4 mm di diametro medio che vengono trasportati lievissimi dalla corrente. La palla sfaldandosi cede molto lentamente il suo contenuto e da questa nasce una scia abbastanza lunga in ragione della leggerezza dell’ingrediente ma anche molto sottile poichè non vi saranno aloni di nessun genere.
Non è un fatto strano vedere due pescatori che pescano a pane in coppia di cui soltanto quello a monte pastura, non spalla a spalla ma staccati di 7-10 metri: entrambi catturano.

Logica di funzionamento semplice e diretta
Il pane, preparato come descritto sopra, forma scie anche per una trentina di metri. Il pesce può decidere di portarsi a ridosso della palle di pastura, principalmente ci sono cavedani in questa posizione, pighi e savette si posizionano più o meno uniformente distribuiti lungo la pista che si forma a valle. E’ abbastanza comune per pescatori di una certa esperienza tagliare fuori il cavedano dalla selezione lanciando le bocce 7-10 metri a monte della loro postazione: con la pesca a pane infatti si possono catturare quasi tutte le specie che nuotano ma il pigo e la savetta meritano un’attenzione particolare in quest’ambito. La palla di pane, se ben realizzata, comincia ad entrare nel vivo del suo effetto circa 20 minuti dopo essere stata lanciata.

Quando è sufficientemente bagnata nella sua parte esterna inizia a consumarsi rilasciando pezzetti e particelle che vengono trasportati dalla corrente verso valle. La differenza rispetto ad una pastura normale è legata al fatto che, quello che chiamiamo scia, non è una scia aromatica ne un letto sul quale il pesce va a cercare nutrimento e particles miste. Si tratta di pezzetti di alimento che fluiscono a valle e di cui i pesci si cibano restando in fila. In pratica è come fiondare bigattino sfuso con la differenza che, da un punto vista alimentare facciamo riferimento ad un elemento, il pane, che se ben amministrato copre spazi più ampi senza correre il rischio di sfamare il pesce.

Questo effetto è dovuto a due caratteristiche coincidenti, la leggerezza che permette il trasporto in corrente per molti metri e il potere calorico medio ma relativamente basso per i singoli bocconcini. Quello che il pescatore deve fare, una volta a conoscenza di queste peculiarità, è abbastanza logico: “mascherare l’amo da bocconcino” e farlo scorrere leggero sul fondo dentro la scia. Un dettaglio da non dimenticare: bisogna appesantire la palla di pastura con un sasso delle dimensioni di una susina. Questo è fondamentale affinchè un materiale leggero come il pane sia stabile nella sua posizione.
La sequenza di pasturazione
Si inizia con 3-4 palle lanciate a raggera per eseguire un fronte di pasturazione più ampio. Facciamo un breve esempio: se abbiamo battezzato la linea di passata sui 20 metri metteremo la prima palla a 19, la seconda a 20 la terza a 21 e la quarta un poco più a monte sempre sui 20 metri quasi a formare una T unendo i punti di impatto. Questo modo di pasturare è tipico della pesca pane perchè, come detto precedentemente, la scia di ogni singola palla è molto stretta quindi, per creare un area pasturata sufficientemente ampia da poter essere in pesca ad ogni passata occorre creare un ampio fronte d’onda per la nostra pastura. La palla lanciata più a monte, quella che forma il gambo della T, è semplicemente una cartina al tornasole. Se passando noteremo mangiate su quella , che sarà circa 3 metri a monte della nostra postazione, prima di passare sulle altre palle che avremo lanciato davanti a noi significherà che il pesce vuole stare sopra la palla. Viceversa se noteremo mangiate soltanto davanti a noi vorrà dire che il pesce si posiziona sulla scia: se infatti mangiasse a ridosso della pastura troveremo pesce imbrancato vicino ad ogni palla, compresa quella a monte. E’ importante questo dettaglio poichè ci indica come mandare la lenza e con quanto anticipo lanciare.
L’effetto di questo tipo di pane si fa sentire dopo 20 minuti: la durata dell’effetto è circa 20/30 minuti. Bisogna quindi lanciare palle nuove ogni 20 minuti per dare continuità alla nostra azione di pasturazione.
Errori da non fare: forzare la pasturazione quando vediamo scarsità di mangiate aumentando la frequenza. Rivedete la lenza piuttosto, l’errore potrebbe essere quello. Sforzare la pasturazione a pane, a meno che non abbiate dei gran cavedani sotto, equivale a saziare il pesce.
Astuzie da conoscere: quando vedete molte mangiate ma non riuscite più prendere pesce significa che queste sono troppo nervose. In questo caso il pesce è in estrema competizione alimentare e per questo mangia con troppa voracità e troppa frenesia rischiando di dare mangiate indecifrabili che corrispondo meno che a frazioni di movimento del galleggiante. Occorre pasturare per ripristinare lo stato di equilibrio.

Passare radenti
Pescare savette non è proprio come pescare cavedani: è un pesce più simile al pigo per il modo di nutrirsi ma ancora più particolare. Mangia soltanto con il muso rivolto verso il basso e la coda in alto. Per questa ragione necessità di lenze che siano dimensionate correttamente per raggiungere un effetto: radere il fondo sempre e comunque e farlo con la massima sensibilità di segnalazione. Avendo l’esperienza di cattura in acqua corrente della maggior parte dei pesci europei ci sono un paio di similitudini che mi vengono in mente. So già a cosa state pensando e vi do subito conferma: tra questi c’è il nasen. Il nasen ha lo stesso modo di mangiare e da lo stesso tipo di mangiata ma parlarne è pressochè impossibile visto che nessuno ha (ancora!!) avuto l’idea di portarlo in Italia se non nel bacino dell’Isonzo goriziano. L’altro pesce in fiume che (e qui mi attirerò le ire funeste dei puristi) somiglia come mangiata alla savetta è la breme. Sto facendo questo esempio per andare meglio a spiegare quello a cui i pescatori che vorranno cimentarsi con questo pesce si troveranno di fronte. La breme in fiume mangia con il muso rivolto verso il basso un buon 80% delle volte. Raccoglie letteralmente il boccone da terra e lo porta a circa 20-30 cm dal fondo. Proprio come fa una savetta, solo che questa è molto più rapida. Un pescatore abituato a ferrare cavedani, barbi ed altri pesci “normali” potrebbe non leggere la mangiata di un pesce del genere. Ci troveremo di fronte a cose strane: il galleggiante potrebbe rallentare fino quasi a fermarsi per poi ripartire, potrebbe avere un affondata lieve di circa metà astina, potrebbe avere un sussulto da scambiare con filo d’erba o un asperità del fondale, potrebbe inoltre seccamente sparire ma li non avreste dubbi. Nei quattro casi precedenti avreste perso l’esca senza sapere perchè: anche qualora lo sapeste non sarebbe comunque semplice ferrare certe mangiate! La savetta è un funambolo della passata, va interpretata e capita nell’umore per prenderne un buon numero. A fronte delle considerazioni espresse, la lenza che spesso uso è una corta scalata dotata di torpille, o solo a pallini, che è composta da una decina di piombi posizionati in una cinquantina di cm a chiudere verso l’alto. Uso dei solito pallini grossi in prossimità dell’asola: parto con dei 7 per lenze intorno ai 4 grammi mentre uso dei 5 per lenze più pesanti. Salgo di misura di 3 in 3 saltando un numero. Facciamo un rapido esempio: per una lenza da 4 grammi, utilizzo 3 pallini del 7, 3 pallini del 5, 3 pallini del 3 e fermo la torpille con dei pallini del numero 1.

La parte importante della lenza sarà un finale lungo una cinquantina di cm (quindi uguale alla lenza) che porti 4 pallini del 9. Questi pallini sono la nostra arma di difesa contro i funambolismi della savetta ma andiamo per gradi. La lenza descritta a monte del terminale è una lenza standard e molto usata. Ha lo scopo semplicemente di tenere la corrente scorrendo il più possibile ortogonale al fondo e con appoggio minimo se non nullo. Il finale piombato, con i suoi 4 pallini ci permette di creare piccoli bulk, spostare i pallini più in alto o più in basso, posizionarli a bottoni di camicia etc ... in altre parole possiamo creare una piccola sotto-lenza che ha lo scopo di tenere il finale incollato in terra e rispondere agli inviti che di tanto in tanto faremo trattenendo e rilasciando. Questo complesso pescante assai insolito ha il doppio scopo di segnalare velocemente (parte alta della lenza) e garantire la correttezza della presentazione aderente al fondo (parte bassa). Detto questo, trovate un posto dove ci sono e ... buon divertimento: i più bravi dopo un po’ ci fanno la mano.