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La versione meno romantica di noi pescatori

Testo e foto di Massimo Zelli

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Molto spesso a noi piace raccontarci come se la nostra disciplina fosse una forma d’arte, ed io sono convinto che lo sia, ma se provassimo per un istante a dire come stanno veramente le cose, cosa ne uscirebbe?

Alle 6 questa mattina, alla volta di mettere il mio riposatissimo culo (ben 2 ore di sonno causa gastrite che dura da 15 gg) sulla macchina un cic-cic sinistro mi avverte che il suolo del mio garage non è perfettamente pulito.

Accendo la luce e si materializza un incubo per il quale "il bigattinaro" medio paga dazio almeno una volta nella vita. E' come una sorta di ferita di guerra, un marchio di iniziazione. Quasi tutti ci sono passati e se non ci sono passati è perchè usano poco i cagnotti o semplicemente sono più furbi di me che stando alle statistiche sono ben al di sopra della media come numerosità di questo tipo di eventi.

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Il sacchetto appeso diligemente ad un tubo aereo con un secchio al di sotto nel caso vi fosse la remota possibilità di un buco s'era snodato. Ma non snodato come una ballerina, s’era semplicemente slegato dalla staffa del tubo al quale l’avevo appeso: praticamente un caso di sfiga cosmico, considerando che il laccio è di cotone ed il coefficiente d’attrito di questo materiale su se stesso dovrebbe garantire già abbastanza da eventi di tale genere. Considerazioni ingegneristiche a parte, il sacchetto era rimasto aperto perchè i bigattini fossero ben arieggiati. Una precauzione indispensabile in pieno inverno ...

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Ovviamente, poichè la i santi del cielo che vegliano su noi … Ossia, volevo dire, poiché Murphy, è un brutto figlio di puttana sadico senza cuore, il sacchetto è caduto sul secchio lievemente “fuori centro”, questo si è rovesciato, il secchio, lasciando che il sacchetto giacesse per bene in orizzontale libero di dare sfogo a tutto il suo contenuto.

Diverse madonne più tardi … C’est à dire, come dicono in Francia, diversi minuti dopo, successivamente ad aver scopato circa 1,5 Kg di bigattini su due che ne avevo, il resto troverà da se la via della finestra munito d’ali leggiadre nelle prossime settimane, mi avvio all’auto conscio che sarà una giornata in cui non ci saranno grossi acuti, ma almeno potrò a pescare.

Sono da solo e mi sento in ritardo, non guardo l’orologio giusto per non fomentare altre sfighe. Decido che oggi non c’è tempo per fermarsi al bar con la barista ventenne e gnocca su cui ogni tanto mi soffermo, solo con gli occhi, nei miei mezzonotturni piscatori: decido che oggi il cappuccino e il cornetto se li guadagnerà la barista bionda in età avanzata al bar del paese. Si celano tuttavia altri indizi sul karma della giornata anche dietro questa scelta rimediata all’ultimo momento. La barista, questa non è gnocca nemmeno di cognome, mi dice che posso servirmi da solo per il cornetto, specificando a chiare lettere: "prenda quello davanti che è meno caldo".

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Io eseguo e per essere sicuro, ne tasto la superficie con la lingua e gli do un timido morso di accomodamento: è perfettamente tiepido. Va fatto un inciso di natura tecnica su questa faccenda: la soddisfazione di un cornetto zeppo di marmellata è tale solo se la marmellata è presente copiosamente e non solo per scena. Soppesando l’oggeto capisco che vi è sostanza. La soddisfazione tuttavia diviene almeno doppia solo se il morso arriva come minimo a metà cornetto lasciandoci la bocca sporca come quella di un’ orca che trancia in due una succulenta e grassoccia foca.

L’immagine della foca così d’impatto non mi dispiacque affatto mentre affondavo ricco d’aspettative le ganasse nel rubicondo bozzolo di marmellata. Capii d'essere spacciato solo quando quello che avrebbe dovuto essere un dolce e tiepido ripieno in realtà si rivelò in tutta la sua natura: uno schizzo di magma che s'appiccica al palato causando ustioni da perdere la pelle, per scendere in seguito lungo la gola facendo un unico buco fino allo stomaco ove avrebbe finito di bruciare. E vaffanculo pure alla gastrite.

Una lacrimetta mi scende giù da una guancia e mentre con un colorito che stimo tra viola e cianotico rivolgo uno sguardo sul tono “adesso vengo li, ti sfilo la spina dorsale e ti ci frusto” guardo la vecchia biondona e spero che non si sia accorta della coglionata atomica che ho commesso. Troppo tardi, una risatina gli si stampa sulla faccia e mi fà: << te o ‘go dito gli è come i pomidori de Frachia” o qualcosa del genere. Per i non veneti o non veneto-praticanti: - te l’ho detto sono come i pomodorini di Fantozzi -

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Ad ogni modo, alle 9 ho perso la sensibilità del dito medio, quello che tocca sulla bobina, ho ferrato a vuoto su una mangiata che probabilmente era un’allucinazione in preda alla demenza da freddo ed ho parlato al telefono 5 minuti prima di capire chi cazzo fosse, cosa volesse alle 9 di martedì grasso quando tutto il mondo si sta facendo delle gran risate e soprattutto che non ero io il sindaco e non me ne fregava una santissima ceppa del matrimonio di sua figlia .

Va tutto bene: l’inizio non sempre è indicativo di come deve proseguire.

La mangiata successiva non è un’allucinazione, o meglio, se lo è ditemi come fare ad averle più spesso perchè tira sulla cima della canna come un cavedano da due Kg. Controllo la fuga con tutto quello che anni di bolognese m’hanno insegnato, canna bassa quando il pesce è lontano, la sollevo per gradi mentre guadagno qualche metro di filo, fino tenerlo sotto la cima. Sono oramai quasi ai giri finali, il pesce circola in tondo ma è a mezz’acqua, tra poco saprò che faccià avrà... d’un tratto il terminale cede di schianto. Non è come quando sganci il pesce che senti il filo che morbidamente “sfila”. Avverto nettamente la tensione che di colpo finisce. Il ferretto, l’infallibile ferretto, è rotto in due. La cosa mi lascia sconcertato, vorrei far precipitare un airbus 300 carico di santi, beati, apostoli e madonne ma all’improvviso, mi sovviene che questi ... cioè che Murphy in questa faccenda c’entrano poco. Il ferretto s’era piegato nella scorsa pescata chiudendo malamente la lenza sull stecca, io in maniera bovina, l’avevo raddrizzato pensando di passarla liscia. Certe cose sono come i reumatismi, non sai quando, ma il conto te lo portano sempre.

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La corrente inoltre a causa marea si intensifica. Quindi la finissima lenza da un grammo e mezzo che avevo aperto ad hoc dopo mezz’ora è buona per farci giocare il gatto mentre per pescare mi tocca aprire una 4 grammi che tengo in serbo per le grandi occasioni (e anche in Bosniaco per essere precisi) come una bottiglia di vino buono.

La canna è il mio sogno da bambino, una suprema Extreme dal costo di listino di circa un milione di cui di recente mi sono impossessato soddisfando quel che resta del mio spirito da numismatico: in realtà è una gran canna e basta come non se ne trovano più.

La musica cambia nell’immediato ma non per la canna: la lenza è precisa più di prima e, pelando il fondale con l’esca e poco altro, procede con lentezza e appoggio minimo.

Le mangiate non sono troppe, circa una ogni mezz’ora.

Quello che rende il tutto più interessante è la forza di questi combattenti e la concetrazione che richiede questo tipo di pesca.

La magiata non ha ripetizioni, è un segno secco prendere o lasciare: o hai il coraggio di tirare oppure resti con quel genere di dubbio che si tramuta in un fastidioso bruciore con il passare dei minuti.

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Alle 15 avevo raggiunto la decina di pesci: 5 s’erano fatti valere più dello 0.104 che inesorabilmente aveva ceduto il passo.

La canna, questa canna, sembra di averla da una vita, eppure c’ho pescato 4 volte in tutto: leggera, veloce e con quel feeling che è lo stesso di quando nemmeno ventenne me ne innamorai e pensai che sarebbe stato bello fosse mia.

C’ho messo più di dieci anni e alla fine è li che me la guardo mentre a fine giornata riavvolgo la lenza e la pulisco con un panno umido.

Arriva un tale, pare uscito da una cartolina anni 50’: avete presente un vecchietto di quelli che a 50 anni sembra più vecchio di un vecchio vero.

Sono in mezzo alla campagna ed il posto che oggi mi ospita è abbastanza selvaggio da non far supporre presenza umana nel raggio di Kilometri.

E’ un inerme personaggio, non ho voglia di fare il bastardo scostante, lo saluto con un mezzo sorriso, ovvero quello che mi resta di una giornata che nasce come valvola di sfogo ad un periodo lavorativo un po’ pieno e che vorrei ripetere un po’ più spesso.

Lui è meno gaglioffo di quel che pare, saluta fine come un’avvocato e mi fà: _posso darti del tu vero? _ e senza che io abbia tempo di rispondere rincara: _ ti osservo da un paio d’ore seduto sopra a quel crinale fuori dal tuo campo visivo_

E’ un’affermazione che mi mette un po ‘ sulla difensiva. Gli rispondo: _ assaltatori marina o paracadutisti?_ Lui si fa una mezza ghignata e mi risponde: _ No, ho avuto la polio da bambino, nulla di tutto questo per me, vado a caccia e so come ci si avvicina senza fare troppa “commedia”_

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Beh, la zoppia la mascherava benone, ed era pure un paraculo di quelli matricolati. Mi dice che mi osservava perchè voleva capire cosa si provava a pescare. Veniva qui molto spesso a guardare i pescatori ma non riusciva mai a capire come facessimo a passare così tanto tempo in attesa senza che nulla apparentemente succedesse .

Mi disse però che mi aveva visto attaccarne 6 e prenderne 4 e che all’ultimo s’era trovato a fare il tifo quasi come ad una partita.

E allora senza dirgli che tra i pescatori probabilmente sono uno dei più ammalati gli spiego che quello che si prova è quello che lui ha vissuto sull’ultimo pesce. Ti fa battere il cuore sfidarli in questo modo.

Lui li per li non afferra. Io guardo la pedana: il secchio ha pastura ancora per una palla. Cosi senza dire nulla faccio una rete e la lancio in acqua. Gli dico: se siamo fortunati riesco a farti capire sul serio.

Il tappo passa una, due, dieci volte, una sigaretta si consuma dietro a chiacchiere e spiegazioni quando all’improvviso capisco che siamo in zona cesarini: smetto di parlare.

La fiammata del galleggiante è inequivocabile. Tiro. C’è.

Gli passo la canna e gli dico _ Prova!_

Il vecchio, non molto vecchio, prende la canna con troppa delicatezza, quasi con la paura di fargli male, come farebbe una sedicenne di primo pelo con altro genere di canne.

Gli intimo secco _ Guarda che non morde. Prendi questa canna come “i cristiani”_

Lui m’asscolta e assume una posizione più consona, dopo un po’ mi fà: _ sembra viva cazzo!_

Io gli rispondo semplicemene _E’ viva_

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Non è del resto la pesca è una cosa viva ? Ci congediamo poco dopo, lui non dice nulla ma secondo me il dubbio che sia qualcosa di interessante nel pescare gliel’ho messo.

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