Sagome in superficie
- Enrico Avagliano
- 25 giu 2024
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 14 giu
Testo e foto di Cristian Magnani

"Ogni tanto un branco di dieci o dodici cavedani, tutti molto grossi, saliva in superficie e io li vedevo, nel verde dell'acqua, con le loro schiene brune mentre vagavano in cerca di pastura, incuranti di tutto. Gli gettavo manciate di bigattini e non ne perdevano uno. Poi a mano a mano che i bigattini andavano a fondo, si immergevano e volteggiavano attorno alla pastura fino a scomparire. Ma il galleggiante non affondava mai e io sapevo che giù, nelle profondità del fiume, quei bastardi mangiavano tutti i bigattini tranne quelli che erano sull'amo. E mi chiedevo il perché.
Le provai tutte e pescai con terminali sottilissimi e ami da alborelle ma non ebbi una sola abboccata"
Mario Albertarelli.
Leggendo queste righe tratte dal racconto "Quel giorno a Niella Tanaro" di Mario Albertarelli risulta evidente come il grande Mario e più in generale, i pescatori di quegli anni, non conoscessero la pesca a galla.

Ed in effetti questa tecnica di pesca, che oggi fa parte del bagaglio di molti pescatori, ha preso piede in tempi relativamente recenti, favorita soprattutto dalla distribuzione sul mercato degli ami senza ardiglione, che hanno semplificato enormemente l'innesco sottopelle del bigattino, fino ad allora innescato di traverso su ami con ardiglione con una pratica piuttosto scomoda e laboriosa. Il procedimento consisteva nell'incastrare la larva tra la punta ed il gambo dell'amo, evitando in questo modo di farlo scoppiare.
Se avete familiarità con questa tecnica, saprete già tutto di ami barbless, inneschi "alla faentina", micro galleggianti e tutto quello che si usa per tentare di fregare quelle grandi ombre nere che girano sotto il pelo dell'acqua. In caso contrario, leggete quanto segue e preparatevi alle emozioni forti, perché agganciare un grosso cavedano con una lenza leggerissima ed una canna esile, è davvero un'esperienza esaltante.
Con l'arrivo della buona stagione, i cavedani tendono a salire a galla per nutrirsi negli strati d'acqua più superficiali e non è difficile nelle giornate soleggiate, vederli nuotare sotto il pelo dell'acqua.

Questo comportamento, istintivo e naturale, viene anche indotto quando stiamo pasturando con i bigattini, a patto di non lanciarne una quantità eccessiva. Avviene che i cavedani salgono dal fondo e intercettano i bigattini appena caduti in acqua. A chi non è mai capitato di lanciare una manciata di cagnotti in acqua e di vedere apparire delle grandi ombre scure, pronte ad aspirare in pochi secondi il cibo gettato?
Quando i pesci salgono in superficie la tecnica per pescarli è la pesca a galla, sulla fiondata, e se l'acqua è particolarmente chiara si pesca a vista, ovvero si osserva la calata del bigattino innescato sull'amo e si ferra non appena un pesce lo aspira, senza curarsi della segnalazione del galleggiante.
Il cavedano è il pesce principe di questa tecnica, ma sempre più spesso capita di prendere anche barbi, che hanno imparato a contendere ai pesci dagli occhi gialli, i bigattini che gettiamo in acqua. Anzi, in alcuni fiumi i barbi sono diventati così aggressivi da prendere il sopravvento sui cavedani che, anche in condizioni di frenesia alimentare, non perdono mai la loro proverbiale diffidenza, mentre i barbi, quando salgono a galla, si gettano sull'esca in velocità facendo affondare il galleggiante con grande decisione.

L'attrezzatura per la pesca a galla è semplicissima: la canna ideale è una barbarina o una bolognese molto pronta e leggera ma non rigida per l'esiguità dei finali usati, di lunghezza sui 5 metri. Più la canna è lunga e più la ferrata sarà lenta e in questo caso la velocità è essenziale.
Alcuni utilizzano canne da 7 metri per pescare sotto la punta della stessa, un po’ come si fa con la roubasienne. In caso contrario, con la lenza distante dalla punta, anche una 6 metri risulterebbe molto lenta e ci farebbe sbagliare un grande numero di abboccate.
Personalmente preferisco la bolognese di 5 metri, scegliendo modelli che sappiano coniugare una grande prontezza ad un'azione piuttosto parabolica, così da favorire il recupero di grossi pesci anche con i sottili terminali che questa tecnica ci obbliga, quasi sempre, ad utilizzare.
Alla barbarina si abbina un recuperino o un piccolo mulinello taglia 500/750 mentre sulla bolognese possiamo montare un mulinello 1000/1500 o anche più grosso, a seconda dei gusti. Personalmente penso che il mulinello ideale sia quello a bobina chiusa, perché semplifica e velocizza molto l'uso anche se in questa pesca non si lancia ma si appoggia le lenza in acqua: il mulinello, quindi, si tiene chiuso e si usa solo nelle fasi di recupero del pesce, che spesso è di dimensioni ragguardevoli.

In bobina mettiamo uno 0,12 mentre nei “recuperini” da barbara spesso si monta un filo un pò più robusto, magari colorato per avere sempre l'esatta percezione della posizione della lenza durante il recupero del pesce. La cosa non è comunque fondamentale: quello che conta è che la lenza attiva sia realizzata su uno 0,09 o 0,10 a seconda del finale usato. Come dice il grande Alan Scottorn, nella pesca con il galleggiante, più sottile è la lenza e migliore è la presentazione della stessa e a riprova di questo basta considerare che in una finale del CIS a Peschiera del Garda, c'era chi pescava a galla con una lenza diretta di 0,08 fluorocarbon. Nella pesca con la bolognese non è conveniente montare un monofilo troppo sottile in bobina, ad esempio uno 0,10 perché basta attorcigliare qualche volta il filo sull'apicale per rovinarlo e indebolirlo, rischiando di rompere la lenza sopra il galleggiante. Meglio montare uno 0,12 e realizzare la lenza attiva su nylon di sezione più sottile.
Il terminale può andare dallo 0,10 allo 0,06 a seconda della limpidezza dell'acqua e dalla diffidenza dei pesci. Fondamentale è la sua lunghezza: il bigattino innescato all'amo deve scendere in mezzo alla nuvola di quelli gettati come richiamo e la lunghezza del terminale è determinante per far sì che l'amo segua la lenza in maniera naturale. In sostanza, bisogna quasi considerare la distanza amo-asola/primo pallino, come la prima frazione della nostra scalata e quindi avremo finali piuttosto corti, si va dagli 8/10 cm fino ai 20/25, per salire a 30 quando si pesca in grandi fiumi dove si pesca "staccato" con 1.5/2 metri di fondo in lenza.

Un'alternativa valida è quella di fare finali più lunghi, anche fino a 40 cm, pinzandovi sopra uno o più piccoli pallini.
Ho scritto piccoli, senza dare un riferimento numerico, perché sta alla sensibilità del pescatore capire in che condizioni stiano pescando e che pallini servono. A Umbertide metterò un 13 oppure un 14, mentre in un fiume come il Mincio a Peschiera o nel Piave, dove la massa d'acqua è notevolmente maggiore, servirà un numero 11.
In fondo al terminale monteremo un amo di dimensioni adatte all'innesco di un singolo bigattino, quindi un amo dal 21 al 27, rigorosamente senza ardiglione per non rovinare il bigattino e il pesce.
Il bigattino va innescato sottopelle a metà corpo, in modo che cali in orizzontale, come i bigattini lanciati per richiamo.
Come già accennato, quando non esistevano ami senza ardiglione si innescava il bigattino incastrandolo tra la punta e il gambo e venivano usati ami con la curva molto stretta. Oggi questo sistema è caduto in disuso grazie alla disponibilità di ami senza ardiglione o di ami con micro ardiglione con i quali, con un pizzico di attenzione, si riesce a innescare il bigattino sottopelle senza rovinarlo.

Per il bigattino singolo la misura va dal 24 al 27, per l'orsetto dal 21 al 23. La misura dell'amo si sceglie in base alle dimensioni ed al peso del bigattino, scendendo alle misure più piccole soprattutto se i pesci si mostrano più diffidenti.
Dopo tanti anni dedicati a questa tecnica e dopo aver meritato l'inferno per le imprecazioni dette ad ogni mangiata andata a vuoto, ho cominciato a seguire i consigli dal mio amico Paolo Bonoli secondo il quale quando i pesci sono in grande frenesia e si sbagliano tante abboccate, bisogna mettere un amo grosso, come un 20 o un 22. I pesci mangeranno comunque e noi ne ferreremo qualcuno in più.
Non sempre questo assunto è esatto: ci sono casi nei quali abbiamo a che fare con pochi pesci molto diffidenti ed è necessario scendere di diametro del nylon ad uno 0,06/0,07 con un amo del 26/27 se si vuole ingannare qualche pesce di taglia. Ma in tanti altri casi, i pesci mangiano ed il problema non è farli abboccare quanto agganciarli. Allora conviene montare un amo a curva larga e le ferrate a segno aumenteranno.

I galleggianti da usare sono di grammatura da 0,05 a 0,20 massimo, in condizioni di acqua pressoché ferma, mentre con acqua corrente capita di salire anche a 0,30/0,50.
Ideali per questa tecnica sono i modelli di lunghezza contenuta, per favorire un veloce ingresso in pesca, poco importa la forma, carota o a goccia vanno bene entrambe. Deriva in carbonio o in tonchino, quest'ultima più adatta se si pesca non a vista e in calata, perché il galleggiante entra in pesca seguendo la lenza e riesce a mostrare le mangiate in calata. L'importante è che la deriva non sia lunga perchè non serve stabilità, ma piuttosto che il galleggiante entri velocemente in pesca. Altra caratteristica fondamentale dei galleggianti che sceglieremo, è che siano a filo passante, in modo da non ledere la lenza nonostante i frequenti spostamenti.
Esistono galleggianti a testa tronca, senza antenna ed il filo passante centralmente, che servono ad evitare attorcigliamenti sulla lenza.

Chi ha pratica di questa tecnica sa’ bene quanto sia facile "ciccare" una mangiata e trovarsi con la lenza catapultata indietro a tutta velocità, con il risultato di trovarsi il nylon aggrovigliato sul galleggiante o, peggio, sulla vetta della canna. In questi casi un galleggiante senza antenna è meno predisposto ad agganciare la lenza, mentre purtroppo per gli inestricabili grovigli sulla vetta della canna non c'è altra soluzione se non quella di ferrare molto corto, cosa tuttavia non facile quando dobbiamo rispondere ad un'abboccata fulminea.
La lenza va realizzata con pallini tutti uguali o comunque di misure 13 e/o 12. Alcuni usano il numero 14 oppure gli Styl nelle misure più piccole, cioè n° 7 e n° 8.
Pescando in grandi fiumi o con acqua corrente in maniera sensibile, possiamo aumentare fino ad un 11 o ad un 10, evitando pallini più grossi ed al limite, doppiando i pallini delle misure più piccole.
Come questi pallini vadano disposti è presto detto: a bottoni di camicia o a stringere verso l'alto. Se i pesci mangiano appena sotto il pelo dell'acqua può essere necessario fare un bulk sotto la deriva del galleggiante in modo da poter entrare in pesca correttamente con lenze lunghe solo 30 o 40 cm.
Come già detto parlando dei finali, in questa pesca il bigattino deve calare insieme a quelli lanciati come pastura e quindi tanto la piombatura, per peso e spaziatura dei pallini, quanto la distanza amo-galleggiante, vanno aggiustate in modo che la velocità di discesa sia uguale a quella della pastura.

I bigattini lanciati sono la chiave di volta della pesca a galla: è proprio lanciando i bigattini che mandiamo in frenesia alimentare i cavedani facendo loro perdere la caratteristica diffidenza. Questo avviene soprattutto quando i cavedani presenti sono tanti, mentre con branchi radi le difficoltà aumentano. La quantità di bigattini da lanciare come richiamo e quando lanciarli è importantissima e sta a noi, di volta in volta, capire quanti bigattini lanciare e se il lancio deve essere fatto immediatamente prima o immediatamente dopo aver steso in acqua la lenza.
Troppi bigattini non vengono mangiati a galla e portano i cavedani a seguirli verso il fondo, pochi non sono un richiamo sufficiente e i pesci non vanno in competizione tra di loro.
La pesca a galla non ha regole precise, ogni volta bisogna trovare la misura giusta ma il fatto di vedere il pesce o di intravederlo, ci dice immediatamente se stiamo pescando bene oppure se stiamo facendo degli errori e come rimediare.
La naturalezza della calata può essere enfatizzata innescando bigattini "galleggianti" cioè bigattini che siano stati messi in un dito d'acqua in modo che ingurgitino aria. In questo modo il bigattino cala più lentamente e bilancia il peso dell'amo.
Io personalmente non lo faccio mai, piuttosto faccio molta attenzione a come stendo la lenza in acqua, che secondo me influisce molto di più sul modo con cui l'esca cala, piuttosto che un bigattino bagnato che molte volte va giù troppo piano.
Quando l'acqua è particolarmente chiara e il pesce mangia nel primo metro, spesso si riesce a pescare a vista, cioè a seguire la calata del nostro bigattino e a ferrare quando vediamo il cavedano aspirarlo. Questa è la situazione più bella, sia per le emozioni che ci dà sia per la sua efficacia perché aumentiamo di molto il numero delle ferrate a segno.
In ogni caso, la pesca a galla è una tecnica molto divertente, in grado di dare grandissime emozioni e catture da sogno.